Bambini e vaccino anti-COVID - Grazie da Leo

Un articolo sui generis, per condividere l’esperienza della vaccinazione anti-COVID di un bambino di 6 anni. Gli ultimi dati indicano che in Italia la popolazione 5-11 anni con una dose di vaccino è pari al 12,56%.

La campagna di vaccinazione anti-COVID vista con gli occhi di un bambino

Oggi pubblichiamo un articolo sui generis, per condividere con i Colleghi l’esperienza della vaccinazione anti-COVID di un bambino di 6 anni. Gli ultimi dati indicano che in Italia la popolazione 5-11 anni che ha assunto una dose di vaccino è pari al 12,56%.

Ciao Dottori e Dottoresse,
io sono Leo. Ho quasi sei anni, mio fratello Tommy ne ha tre e il gatto Donato nove. Mamma e papà dicono che il gatto Donato è un adulto, ma a me non sembra tanto perché lui è piccolo e poi non fa le cose che fanno gli adulti perché non lavora e non cucina. Il gatto Donato è un adulto un po’ strano.
Oggi sono contento perché ho fatto il vaccino contro il coronavirus e mi hanno dato il diploma. Sono stato coraggioso e mi hanno dato anche un palloncino blu. Avevo un po’ paura dell’ago, però mamma ha detto che così potevo andare a scuola e in piscina e io ci voglio andare. Non ho pianto. Papà mi aveva detto di non piangere prima del vaccino, ma di piangere dopo se avevo male. Io non ho pianto neanche dopo perché non ho sentito male, adesso quando alzo il braccio sento un po’ male.
Anche la mia mamma e il mio papà sono contenti perché ho fatto il vaccino. La mia mamma fa la dottoressa e cura tante persone molto malate, che quando vanno nel suo ospedale lei li addormenta e gli dà le medicine per guarire. Però per il coronavirus non ci sono tante medicine e allora uno si mette il vaccino e poi non si ammala. O se si ammala si ammala poco e non va dalla mia mamma a farsi curare, perché se sta male, sta poco male.
Nei compiti di Natale c’èra di portare delle cose importanti fatte o viste nelle vacanze. Quando vado a scuola lunedì dico alle maestre e ai miei amici che ho fatto il vaccino, porto il diploma. A scuola usiamo le mascherine che togliamo per mangiare. Io mi stufo delle mascherine da tenere tutto il giorno. La metto anche quando faccio karate. Papà dice che fa niente che usiamo le mascherine, che è importante andare a scuola perché così posso stare con i miei amici. Tra poco arriva la primavera e allora ci sarà meno freddo perché adesso la finestra della scuola sta sempre aperta perché così se il coronavirus entra, poi esce. Papà dice che fa niente se fa freddo, perché imparare stando con le maestre è più bello che guardarle dal computer. Lui papà lavora sempre al computer coi dottori e infatti non è sempre contento come quando io sto coi miei amici.

diploma vaccino covid

Quando è arrivato il coronavirus io ero piccolo, avevo quattro anni. Alla scuola materna non ci sono più andato perché non si poteva e giocavo sempre con mio fratello che però era molto piccolo e mi distruggeva i giochi. Quando c’era il sole andavo sul balcone e parlavo con la mia amica Alice che stava sul balcone vicino al mio. Il buco del balcone però era piccolo e io non potevo sempre vederla bene, poi veniva il gatto Donato e si metteva sempre davanti e io non la vedevo. Alice aveva disegnato un grande arcobaleno sulla porta. Anche io avevo disegnato un arcobaleno. C’erano tanti arcobaleni, ma quello di Alice era bello e grande. occupava tutta la porta. A me non piaceva stare a casa. Con papà vedevo le maestre che raccontavano le storie dal computer anche se una o due storie non mi ricordo le maestre erano al contrario nel video, però le sentivo.
Non vedevamo la mamma perché era sempre al lavoro. Non sempre sempre, ma però quasi sempre. Papà diceva che la mamma era come un supereroe che curava le persone ammalate per colpa del coronavirus. E che c’erano altri supereroi, gli altri dottori e le dottoresse di tutti gli ospedali e anche gli scienziati che dovevano trovare il vaccino. La maestra Carla diceva che questo era un cattivirus e io l’ho disegnato come una palla con le punte con la faccia brutta, ma so che non ha davvero la faccia. Se la ha è una faccia da virus non come quella che abbiamo noi. Papà dice che siamo stati supereroi anche noi che facevamo i bravi e aiutavamo la mamma quando lavorava tanto.

Mamma e papà mi hanno insegnato ad avere fiducia negli scienziati. Dicono che per andare tutto bene non basta disegnare gli arcobaleni, ma devi fare la tua parte. Grazie scienziati che avete trovato il vaccino perché così posso andare a scuola e al parco giochi quando non fa tanto freddo. Grazie perché posso vedere le maestre non nel video. Posso stare con gli amici davvero, non solo vederli dal balcone.
Papà mi ha detto che quando tutti si vaccinano il coronavirus smette di saltare da una persona all’altra e poi se ne va. Poi se uno se lo prende i dottori lo curano. Grazie anche ai dottori che curate le persone. La mia mamma è una dottoressa e cura tutte le persone, ma per colpa del coronavirus deve stare in ospedale tanto. Papà mi ha detto che quando tutti si vaccinano la mamma può stare di più con noi e non andare sempre in ospedale.
 

L’esperienza di Leonardo non avrebbe nulla di speciale, se non ci trovassimo a vivere tempi strani in cui i medici per alcuni sono passati rapidamente dall’essere eroi e angeli, all’essere assassini al soldo di Big Pharma. Questo è il racconto della vaccinazione anti-COVID, vissuta con la naturalezza tipica dei bambini. Bambini ai quali, due anni fa, abbiamo detto che quando gli scienziati avessero scoperto il vaccino, avremmo sconfitto il coronavirus.
La maggior parte dei medici vaccina i propri figli, perché sa che solo in questo modo si potrà uscire dalla pandemia. Ai Colleghi che nutrono dubbi sull’efficacia della campagna vaccinale, facciamo un invito alla riflessione. I dubbi sono legittimi, sia chiaro, finché sfociano in discussioni e analisi fatte in opportuni contesti scientifici e istituzionali. La Medicina è una pratica in continua evoluzione e probabilmente in futuro disporremo di mezzi e strategie più efficaci per contrastare questo virus di quelle di cui disponiamo oggi. Quando le avremo, useremo quelle e abbandoneremo quel che usiamo oggi. Concetto semplice, che qualche volta ha senso ricordare anche a chi ha una laurea in Medicina e Chirurgia.