Donare il proprio cadavere alla scienza: si può fare, anzi no

Intervista a Michele Usuelli, Consigliere di Regione Lombardia, promotore di una riforma che potrebbe consentire di donare cadaveri o parti anatomiche riconoscibili per finalità di studio, ricerca o insegnamento. Una riforma diventata legge in Lombardia, ma che il Consiglio dei Ministri ha subito impugnato.

Intervista a Michele Usuelli, Consigliere di Regione Lombardia, promotore di una riforma che potrebbe consentire di donare cadaveri o parti anatomiche riconoscibili per finalità di studio, ricerca o insegnamento.

Nel febbraio scorso il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato un’ampia riforma dei servizi necroscopici, funerari e cimiteriali (Legge Regionale 4 marzo 2019 , n. 4). Nel corso della discussione sono state accolte due proposte presentate dal consigliere di “+Europa con Emma Bonino”, Michele Usuelli. La prima disciplina le modalità con cui i cittadini possono disporre l’utilizzo del proprio corpo, dopo la morte, per finalità di ricerca e studio. La seconda consente di donare alla scienza anche le parti anatomiche riconoscibili, fino ad oggi mai utilizzate.
A distanza di breve tempo, il Consiglio dei Ministri ha impugnato la nuova legge regionale lombarda  in quanto alcune norme si porrebbero in contrasto  con i principi fondamentali in materia della salute sanciti dalla Costituzione. Tutto bloccato, insomma, perché, secondo il Governo centrale, il Consiglio Regionale lombardo avrebbe fatto un’invasione di campo, legiferando su materia che non sarebbe di sua competenza.
Michele Usuelli è medico, neonatologo, per 7 anni in terapia neonatale alla Mangiagalli di Milano. Ha esperienza di gestione e di lavoro ospedaliero in paesi in via di sviluppo tra cui Afghanistan, Sierra Leone, Repubblica Centrafricana, Darfur, Sudan, Khartoum, Malawi e Cambogia.
Lo abbiamo incontrato e abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui sulla riforma che permetterà di donare il proprio cadavere alla scienza, ma non solo su questo.

 

La legge italiana non vieta di “destinare” il proprio corpo, o parte di esso, a finalità di ricerca e studio, né di donare alla scienza parti anatomiche amputate e/o che hanno subìto di interventi chirurgici, ma le norme attuative non sono del tutto chiare. In Lombardia avete provato a cambiare la situazione. Qual è la storia di questa riforma? Si tratta di una questione che le stava particolarmente a cuore per motivi personali/professionali o qualcuno le ha sottoposto questa esigenza?

La prima cosa che mi viene da dire è che sono molto soddisfatto di come questo tema sia stato originariamente affrontato in Regione Lombardia. Molto soddisfatto del risultato ottenuto in seno al Consiglio Regionale lo scorso febbraio. Non era così scontato arrivarci. Infatti, sugli 80 consiglieri regionali che devono gestire i 19 miliardi che Regione Lombardia addebita ogni anno alla sanità, ci sono solo tre laureati in medicina. Di questi, due hanno fatto una vita da sindaci. Io sono l’unico, tra gli 80, ad avere un'esperienza di medico ospedaliero. Fino a poco tempo fa lavoravo in terapia intensiva neonatale alla Clinica Mangiagalli di Milano. Non è sempre vero che un medico sia anche bravo a gestire la politica sanitaria, ma, certamente, il fatto di non essere a digiuno sui temi che riguardano la medicina, aiuta. La selezione della classe dirigente fatta in seno ai partiti dovrebbe essere una “selezione sanitaria”, mi si passi l’espressione, perché questo ambito occupa il 90% del budget a disposizione del Consiglio Regionale. Così non è, con grande delusione da parte mia. Io, che sono medico, non ho solo il problema di convincere i miei avversari politici, ma ho anche il problema di farmi capire.
Il mio modo di lavorare sul tema sanitario è quello di fare da cerniera tra il mondo della medicina e il mondo della politica. Pertanto, quando si è deciso di mettere mano alla proposta di legge che riformava il sistema funerario, i partiti si sono occupati  di ascoltare le varie associazioni di categoria per capire quali fossero gli interessi da tutelare. Io ho iniziato a parlare con la comunità scientifica, quindi con le persone in grado di aiutarmi a migliorare la legge dal punto di vista medico. Ad esempio, un gruppo di studenti di medicina mi ha riferito, cosa che non sapevo, quale fosse il destino degli arti amputati. Andavano tutti all’inceneritore, anziché essere usati per motivi di studio o di ricerca. Poi ho lavorato con il direttore scientifico del Policlinico di Milano, il Prof. Bosari, un anatomo-patologo,  tramite il quale sono entrato in contatto con la sezione lombarda della Società Italiana di Anatomia Patologica. Abbiamo fatto insieme un lavoro di approfondimento da cui è emerso che in Italia era quasi impossibile donare il proprio corpo alla scienza per fini di studio, ricerca e insegnamento. A livello nazionale non esiste alcun impedimento, ma mancano norme di attuazione. Con il mio staff abbiamo convenuto che una nostra legge regionale avrebbe potuto colmare questa situazione, almeno in Lombardia, senza dover modificare nulla a livello nazionale. Così facendo abbiamo fatto muovere le cose in Lombardia, nella speranza di fare da apripista nella stessa direzione per altre regioni. Ci sono realtà ospedaliere che importano cadaveri dall'estero, soprattutto dagli Stati Uniti, con un costo incredibile. I costi comprendono anche la riconsegna del cadavere che, dopo essere stato usato magari per motivi di insegnamento, va preparato e riconsegnato al paese d’origine. La perdita di tempo, di soldi, di energie è immensa. Consentire la donazione del proprio corpo alla scienza rende le cose molto più semplici, anche dal punto di vista economico. E di questi tempi non è cosa da poco.
Questo provvedimento si lega alla battaglia sulle disposizioni anticipate di trattamento, ovvero sul testamento biologico. Grazie a questa legge un cittadino potrebbe scrivere nel proprio testamento biologico che vuole donare il proprio corpo alla scienza. Abbiamo semplicemente provato a normare gli aspetti concreti di un principio che, sulla carta, già esisteva.

La Lombardia è l’unica regione ad aver legiferato sulla questione. Secondo la vostra idea, se un cittadino residente in altra regione volesse donare il proprio cadavere ad una università o ad un istituto di anatomia patologica lombardo potrebbe farlo?

La nostra idea è che ci debba essere massima fruibilità di questa norma da parte dei cittadini, di tutti i cittadini, non solo di quelli lombardi. Oggi è impossibile rispondere alla domanda, perché manca il regolamento attuativo e perché tutto è in stand by a causa dell’impugnazione fatta dal Consiglio dei Ministri. La linea è quella di promuovere il provvedimento il più possibile in modo tale che, man mano, il tutto diventi non più solo locale, ma nazionale, perché le esigenze lombarde sono poi le stesse delle altre regioni.
Quando avremo superato l’ostacolo che ci ha posto il Governo centrale, ci concentreremo sul regolamento attuativo di questa legge. Il regolamento attuativo sarà molto corposo, perché dovrà declinare in modo concreto tutto quel che riguarda questa riforma funeraria. Quello che noi abbiamo ottenuto, grazie a +Europa, è che, prima dell’approvazione definitiva, il regolamento passi in Commissione Sanità. Noi vigileremo affinchè la legge sia poi fruibile davvero dai cittadini in modo facile. In quella sede, a partire da quello che la giunta disporrà, prenderemo atto delle disposizioni ben scritte e cercheremo di migliorare quelle in cui ci fossere mancanze. Cerchiamo di apportare migliorie al sistema, procedendo in direzione del progresso scientifico ed allontanandoci un po’ dal Medioevo. Il tutto nell’ottica di migliorare i servizi per i cittadini, rendendo le cose semplici.
Va vista così, in un’ottica di semplificazione concreta, anche un’altra novità, secondo me una grossa miglioria. Le vecchie norme prevedevano, in Lombardia, l’obbligo di sepoltura per i feti abortiti in seguito ad interruzione volontaria di gravidanza. Al di là delle implicazioni etiche e morali, che ognuno può valutare secondo le proprie convinzioni, queste norme determinavano un plus di lavoro per il personale sanitario, con relativi costi economici ed oneri burocratici. A febbraio, noi siamo riusciti ad ottenere che il feto abortito in modo spontaneo o in seguito ad IVG dovesse essere sepolto solo su esplicita richiesta. Una semplificazione, senza ledere i diritti di nessuno. In questi giorni scopro che, nella discussione sul bilancio, la Lega e Forza Italia hanno inserito due emendamenti volti a reintrodurre l’obbligo di sepoltura dei feti dopo aborto spontaneo o interruzione volontaria di gravidanza. Un obbligo abolito lo scorso febbraio su proposta di +Europa e Pd con il voto favorevole dell’intera maggioranza, adesso viene rimesso in discussione dagli stessi che prima erano favorevoli.

A proposito di semplificazioni: un recente rapporto relativo al numero di trapianti e di donazioni d’organo in Italia ha mostrato una tendenza incoraggiante. Pare che tra i motivi che hanno fatto aumentare la donazione di organi ci sia la possibilità, data da molti comuni, di esplicitare la volontà di donazione quando si rinnova la carta d’identità. Cosa ne pensa?

Ottima iniziativa. Anche noi vogliamo rendere le cose facili e trasparenti. L’idea di usare la carta d’identità elettronica è molto buona, altrettanto buona è quella di usare per scopi simili la tessera sanitaria. Noi vorremmo che la tessera sanitaria contenesse il testamento biologico di ogni cittadino. Stiamo raccogliendo informazioni al riguardo e, ad oggi, sappiamo che probabilmente questa innovazione potrà essere fatta solo a livello nazionale, non regionale. Va utilizzato un sistema che tuteli la privacy, ma i progressi tecnologici, da questo punto di vista, non mancano certamente di suggerimenti. Stiamo lavorando con l'Associazione Luca Coscioni in questo senso. Serve la possibilità tecnica di inserire questo contenuto nella tessera sanitaria, serve un sistema di protezione dei dati, serve poi convincere la politica sulla bontà dell’iniziativa. Importante è non solo scrivere delle buone leggi, ma anche renderle fruibili dai cittadini. L’informatica può aiutarci a rendere le cose più facili.
In un paese moderno il cittadino deve essere informato sulla possibilità di donare gli organi e deve poter essere messo in grado di farlo in modo semplice. Se l’attuazione di una legge non è semplice, allora la legge rimane solo una scartoffia inutile. Quando si vincono battaglie di civiltà, bisogna poi vigilare sui regolamenti attuativi. A volte sono pessimi e mortificano la legge e i principi che l’hanno ispirata.
Prendiamo ad esempio la Legge 194 del 1978. Si tratta di un'ottima legge, ma se il 70% dei ginecologi lombardi fa obiezione di coscienza - e in alcuni ospedali si arriva al 100% dei medici ginecologi in turno - la bontà della legge si annulla insieme ai diritti dei cittadini.

In Consiglio Regionale le due proposte sono state accolte molto favorevolmente, col solo voto contrario del Movimento 5 Stelle. Ci si poteva aspettare opposizione da parte delle frange più cattoliche dell’aula, ma così non è stato. Sorpreso?

La destra al potere in Regione Lombardia è certamente una destra pericolosamente estremista, più di quella dell’epoca formigoniana, ma non è più una destra clericale. Posso testimoniare un certo cambiamento in positivo. Ad esempio, da qualche mese, in Regione Lombardia, la pillola abortiva RU-486 può essere somministrata in regime di day hospital, mentre prima era necessario un ricovero di 3 giorni. Questo è stato ottenuto facendo semplicemente notare all’Assessore alla Sanità il risparmio economico che questo avrebbe comportato. Questo provvedimento si aggiunge alla modifica dell’obbligo di sepoltura dei feti, alla donazione del proprio corpo alla scienza.  Sono anche riuscito a far impegnare Regione Lombardia perché un milione di euro siano destinati all’acquisto di contraccettivi a lunga durata d'azione da donare a UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Questi contraccettivi sono destinati ai paesi  con più alta fertilità al mondo, che spesso sono i paesi con più alta mortalità materna e neonatale. C'è un vento nuovo da questo punto di vista in Regione Lombardia.
Questi provvedimenti sono stati oggetto di critica dal Secolo d’Italia Italia e dall’Opus Dei, ma per ora Regione Lombardia non sta facendo passi indietro per convinzioni clericali.

Rimaniamo in tema di passi indietro e parliamo di quanto è successo due mesi dopo la discussione della legge nell’aula del Consiglio Regionale lombardo. Il Consiglio dei Ministri, riunitosi martedì 23 aprile 2019, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Erika Stefani, ha esaminato e ha deliberato di impugnare la legge. Il motivo, in poche parole, è che avete legiferato su temi che non vi competono. Cosa può dirci in proposito?

In Regione Lombardia tutti hanno votato a favore di questa riforma, tutti tranne i consiglieri del Movimento 5 Stelle. La legge è stata democraticamente approvata, poi, su input del M5S, è arrivato lo stop del Governo centrale. Il motivo di questa loro opposizione è inspiegabile per me, hanno una visione medievale. Visione che mi sarei potuto aspettare da gruppi clericali, ma loro non mi pare abbiano queste caratteristiche. Hanno sollevato un conflitto di competenze tra materia dello Stato e materia delle Regioni. Questo conflitto di competenze secondo noi non ha motivo d’essere. Attendiamo il parere della Corte Costituzionale, che dovrà esprimersi sulla legittimità del nostro lavoro.
Sta succedendo qualcosa di clamoroso. Sembra che in Regione Lombardia la Lega Nord voglia fare una vera e propria inversione a U, proponendo di eliminare dalla legge regionale tutto quanto è stato contestato nell’impugnazione del Consiglio dei Ministri. Questo sarebbe per noi un atto gravissimo, che significherebbe un assoggettamento dei consiglieri regionali al volere del Governo centrale. Alla faccia della tanto sbandierata autonomia delle Regioni. Mi è stato chiesto di ridiscutere la questione a settembre. Qualcuno in aula ha motivato la necessità di un ulteriore mese di riflessione perché la questione sarebbe “etica”. In realtà, l’etica c’entra ben poco. Nelle nostre università i cadaveri vengono già usati per lo studio dell’anatomia e per le esercitazioni degli studenti di medicina. Adesso si pagano oltre diecimila euro per avere un cadavere, con la nuova legge approvata a febbraio i contribuenti ne spenderebbero zero. In conclusione: durante l’estate il Consiglio Regionale della Lombardia rifletterà se rimanere nel Medioevo o se guardare alla normalità del presente.
La mia speranza è di riuscire a rendere concreta la nostra legge, che consentirebbe alla nostra Regione, e magari anche ad altre in un prossimo futuro, di fare un concreto passo avanti verso il progresso civile e scientifico.

Un’ultima domanda, su un argomento molto dibattuto in questo ultimo periodo, il problema della carenza dei medici. Alcune regioni stanno rispondendo richiamando in servizio medici andati in pensione, altre stanno assumendo medici stranieri. La sanità lombarda, da molti considerata un modello da seguire, come si sta ponendo di fronte a questo problema? Lei, che fa il medico, che idea si è fatto della questione?

Noi abbiamo presentato una mozione che chiede urgentemente a Regione Lombardia di uscire dall’illegalità e di tornare a produrre il piano socio-sanitario integrato. Si tratta di un documento che si basa su principi di democraticità, redatto dal Consiglio Regionale insieme all’assemblea dei sindaci e alle associazioni di categoria. È un programma quinquennale che costringe ad una visione di lungo periodo in cui, a partire dall’analisi dei dati, si discutono tutti gli aspetti socio-sanitari. Regione Lombardia sta commettendo una illegalità perché, come altre regioni, non lo redige. Certamente è molto più comodo, per la politica, lavorare sempre in regime di emergenza e in deroga, usando ad esempio le delibere delle regole di esercizio, che sono annuali, mettendo toppe a destra e a sinistra. Il tutto avviene in modo antidemocratico, perché la delibera delle regole non ha un passaggio in aula, invece il piano socio-sanitario integrato sì e prevede un percorso più equo.
Siamo ancora uno dei paesi con il più alto numero di medici per abitante al mondo. Questo non è sempre un indice di buona qualità delle cure. Credo che molti colleghi medici converranno con me quando dico che abbiamo più ospedali che campanili. Abbiamo tanti ospedali piccoli, tanti reparti piccoli. A Varese, ad esempio, ci sono 3 pronto soccorso in 9 chilometri quadrati, tutti e 3 senza l’organico sufficiente. Una soluzione al problema di carenza dei medici potrebbe essere l’accorpamento delle piccole sedi in sedi più grandi. Ci vuole coraggio, ma, chiaramente, una sede più grande, dove convergono più patologie, allena meglio i propri medici. Ad esempio, i punti nascita dove si hanno meno di 500 parti l’anno, vanno chiusi, tutti, perché possono essere pericolosi per la comunità. Lo dice la Società Italiana di Neonatologia, ma abbiamo ancora molti reparti aperti, che non si vogliono chiudere sebbene vi lavorino medici che vedono mediamente meno di due parti al giorno. L’accentramento in sedi più grandi permette di avere migliore qualità delle cure. Certamente è necessario comunicare bene con i cittadini, spiegare loro quali sono i motivi alla base delle scelte, evidenziando i benefici che ne conseguono. I cittadini, ne sono certo, sarebbero ben disposti a fare qualche chilometro in più per partorire in maggiore sicurezza. Quando lavoravo in Mangiagalli e leggevo l’indirizzo di residenza delle mamme che avevano partorito, se notavo che abitavano lontano, dicevo sempre: “Certo che ne ha fatta di strada, ha saltato diversi ospedali prima di venire qui in Mangiagalli”. Le mamme mi rispondevano tutte che preferivano fare un po’ di strada per partorire in sicurezza. I cittadini sono molto più avanti della politica. Purtroppo la programmazione è quasi nulla, la comunicazione è deficitaria, così spesso sul tema si avventano a far danni la propaganda politica e la disinformazione mediatica. Per molti politici la chiusura dei piccoli centri, dei piccoli reparti, è considerata una potenziale perdita di voti. Siamo quindi ostaggio della miopia e della debolezza decisionale della politica.
Io sto lavorando per rendere accessibili a tutti i cittadini i dati del cosiddetto “sistema bersaglio”. Si tratta del “Sistema di Valutazione delle Performance dei Sistemi Sanitari Regionali” sviluppato dalla Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa, cui aderisce Regione Lombardia. Credo sia legittimo che questi indicatori siano accessibili  ai cittadini. Se devo operarmi al cuore, devo poter sapere, in modo facile, quanti interventi si fanno nei vari ospedali, quante sono le complicanze che si registrano, e via dicendo. Molti miei interlocutori tra i partiti di maggioranza, quando parlo di questa proposta, mi dicono che è inutile, perché i cittadini secondo loro non hanno le competenze per comprendere quei dati. Per me non è così, si tratta di un’esigenza che merita una risposta e che può solo portare benefici ai cittadini.  
A mio parere, per risolvere l’emergenza di carenza di risorse umane, bisognerebbe convocare gli stati generali delle professioni sanitarie perché vi sia un confronto degli operatori con i politici e con i cittadini per ridisegnare uno schema che in questo momento non sta più funzionando. Solo alla luce di questa pianificazione si potranno confermare o rivedere gli accessi ai corsi di laurea e alle borse di specializzazione per i prossimi anni. La pianificazione di un progetto, di qualunque progetto si tratti,  parte da un'analisi dei dati e dei bisogni. Senza queste analisi, senza pianificazione, si possono solo adottare soluzioni tampone, che possono anche rivelarsi dannose. Stiamo pagando le conseguenze di una mancanza di regia e di visione. In Lombardia governano gli stessi politici da trent’anni, non è strano che solo oggi ci si accorga di questa carenza di risorse? Il problema è che la politica guarda sempre più spesso all’oggi e ai voti che potrà prendere domani, poche volte ha il coraggio di guardare oltre.