Il lancio della monetina

La chirurgia è l’eterna lotta tra scienza e coscienza. Quando sei sul crinale di una decisione difficile potrai dirti bravo oppure no se ti affiderai all’una o all’altra. A volte è come lanciare una monetina in aria, testa o croce.

Non è vero che la vita è bella

Faccio il medico da trent’anni, ma ci sono scene di dolore a cui non so davvero abituarmi. Trattengo sempre con violenza le mie lacrime quando vedo due genitori anziani al capezzale della loro figlia disabile sofferente. Non è vero che la vita è bella, è uno stereotipo buono per chi non la trascorre tra un letto d’ospedale e una speranza.
Ho letto tutta la sua anamnesi con la meraviglia di chi sfoglia un racconto di fantasia. Ti ripeti “non ci posso credere”, sembrava di leggere l’indice di un trattato di sfortuna. Alla fine, mi è venuto in mente quanto diceva un mio vecchio primario: «Quando c’è un paziente con più di una patologia grave, ringrazialo, una di queste non verrà a te» e chiosava prontamente a chi lo guardavo di traverso «non è cinismo, è statistica». Provo a sdrammatizzare, lui faceva così.
Il suo calvario di dolore è iniziato sin da subito e non ha mai smesso. Penso che abbia dormito più tempo in un letto d’ospedale, tanto da non farne più differenza con la sua casa. Insieme a lei ci sono sempre stati i suoi genitori con l’educazione dei gesti che solo il dolore sa farne galateo, perché è questo che il dolore insegna, il rispetto educato alla vita.
Non è vero che chi ha dolore ne trae altro  insegnamento. “Altro” è solo un alibi retorico che serve ad esorcizzarne la presenza, a dargli un senso di quotidianità. Nessun paziente si erge a campione di sofferenza, è un titolo che nessuno rincorre, se non la banalità di chi è seduto dall’altra parte a fare le parole crociate.

Testa o croce

Riportarla in sala operatoria era la mia scelta più semplice, ma la più difficile per lei, una malata fragilissima. Aspettare una notte era la moneta da lanciare in aria. Testa “ho fatto la scelta giusta!”, croce “perché ho fatto questa scelta?”.
Alla fine è suo papà a prendermi la mano. «Dottore, faccia quello che le sembra più giusto. Se dovesse andare male, noi non cercheremo colpevoli, è da una vita che non lo facciamo». Ho cercato il suo viso scavato da un tempo, mai scontato. «Dottore, aspettiamo».

Alle 23 mi chiama il reparto, ho un vuoto allo stomaco. «Doc, è per dirle i parametri: stazionari. Il drenaggio ha ancora sangue». Chiudo la telefonata, rigiro la monetina tra le dita, le ho promesso che avrei aspettato, aspetterò. Sono stato tutta la notte con il telefono accanto, ho dormito con la tuta. Non ha più squillato.
Questa mattina entro in reparto, non è più nel suo letto. Chiedo in punta di cuore, penso al peggio. «Doc, l’abbiamo spostata più vicina alla nostra stanza come ci aveva detto ieri lei, per monitorarla meglio». Ho la saliva che si tuffa nello stomaco. Lei mi vede, «Sto meglio». Nel drenaggio non c’è più sangue, mi dice «Grazie». Io, sottovoce, grazie di cosa, sei tu che mi hai convinto ad aspettare. Adesso sorride, sta davvero meglio che vorrei uscire da quella stanza ballando.
Vado a fare colazione, ho ancora una monetina in tasca, la lancio con gioia sul bancone dello spaccio. Testa un caffè, croce piglio anche la brioche. Testa, questa volta il lancio mi è venuto male, non si può vincere sempre. La brioche, la prenderò un’altra volta.