Io non lo rifaccio

In Italia, dal mese di aprile, i numeri e i grafici che descrivono l’andamento della pandemia di COVID-19 sono diventati sempre meno drammatici, fino a fotografare, in giugno, una situazione pienamente sotto controllo.

Le considerazioni personali di un medico rianimatore sul mancato rispetto delle norme per evitare la diffusione del coronavirus

In Italia, dal mese di aprile, i numeri e i grafici che descrivono l’andamento della pandemia di COVID-19 sono diventati sempre meno drammatici, fino a fotografare, in giugno, una situazione pienamente sotto controllo. Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un’inversione di tendenza, probabilmente determinata da diversi fattori. Tra questi c’è sicuramente una minore percezione del rischio di contagio da parte di molti, cui conseguono comportamenti pericolosi per la salute di tutti. A questo proposito, pubblichiamo quanto ci ha scritto un medico rianimatore che ha lavorato nella zona più colpita dal virus SARS-CoV-2.

Vi vedo. Vi ho visto tutta estate, da giugno: vedo le grigliate, le spiagge, le code per il mare, le discoteche, i saluti in piazza con la mascherina sul gomito o appesa all'orecchio.
Vi vedo divertirvi, uscire, incontrare persone, baciarvi e abbracciarvi, come se nulla fosse successo. Come se i vostri conoscenti e parenti, voi stessi, foste tutti immuni. Perché a portare il virus sono "altri", i polentoni, gli immigrati, i turisti, ma non certo voi, i vostri amici, i vostri figli. Siamo tra noi - che scherziamo? - niente mascherine. Vi vedo girare con la mascherina, che poi abbassate quando incontrate qualcuno per strada e fate due chiacchiere.

E allora vi dico va bene. Divertitevi. Abbracciatevi. Chiacchierate con la mascherina abbassata.
Ma sappiate una cosa: io non lo rifaccio.

Io non torno, in quell'inferno di barelle in corridoio, di rumore continuo delle macchine con i loro allarmi incessanti e di silenzio di morte degli esseri umani, perché i pazienti erano troppo impegnati a respirare per parlare, e noi troppo vestiti di tute mascherine e visiere per capirci. Allora lasciavamo perdere.
Io ho già pagato il mio tributo al COVID-19. Ho pagato nel fisico, con notti insonni al lavoro tra i letti dei malati e insonni a casa per l'angoscia, l'impotenza, la frustrazione, con pranzi e cene consumati di corsa, a orari assurdi, cercando nel cibo un conforto effimero. Ho pagato nella mente, devastata dai sensi di colpa e dallo stress, dal non sentirsi "abbastanza".
Ha già pagato il mio compagno, costretto a sacrificare il suo lavoro, tutto il suo tempo libero, tutte le sue energie per crescere due bambini che in due fanno 5 anni, raccontargli che la loro mamma è un po' come un supereroe e che se non sta sempre con loro non è perché sono cattivi ma per tenere il virus cattivo fuori dalla porta.
Ha pagato il mio figlio grande, che non ha visto coetanei per mesi, che si scambiava i disegni dal balcone con la figlia dei vicini attraverso una fessura nel cemento, che ha imparato a scrivere il suo nome mentre non ero lì a vederlo, ne ho avuto una foto.
Ha pagato il mio bimbo piccolo, che è caduto più volte e non ha avuto l'abbraccio della sua mamma, che ha imparato a correre e a saltare, ma io non ero lì con lui a vederlo, perché stavo cercando di portare ossigeno in altre madri e padri che non vedevano le loro famiglie, solo meno fortunati di me, che almeno, li avrei potuti rivedere la sera.

E io ho pagato ancora poco, sono fortunata: non ho perso nessun affetto, non piango i miei genitori né le mie nonne. Non per tutti i colleghi è stato così.
Se tutto questo non vale la grigliata di ferragosto o la festa del patrono, va bene, godetevele. Quando tornerà marzo in ospedale vi curerà qualcun altro, io no. Non voglio più spendere nulla di mio per voi. Non ne vale la pena.

Buon divertimento!