La pandemia raccontata da medici e infermieri

La SiMeN ha pubblicato un report del progetto “R-Esistere: respiro, ricordo, racconto”. L’intento del progetto è quello di raccogliere le storie di malattia, di trattamento, di guarigione o purtroppo di perdita.

Pubblicato il report del progetto R-Esistere

La SiMeN ha pubblicato un report del progetto “R-Esistere: respiro, ricordo, racconto”. L’intento del progetto è quello di raccogliere le storie di malattia, di trattamento, di guarigione o purtroppo di perdita, ma a volte anche di semplice quotidianità, di chi ha vissuto e vive l’esperienza della pandemia. Vi riportiamo alcuni punti dell’analisi.

La SIMeN, Società Italiana di Medicina Narrativa, ha realizzato R-Esistere. Il progetto, nato durante la pandemia di COVID-19, è un invito a ricordare un momento, un’emozione, una persona, un luogo e a raccontare una o molte storie dal punto di vista dei medici o degli infermieri, ma anche da quello dei pazienti e delle loro famiglie. Le narrazioni vengono analizzate nel rispetto della rigorosa modalità della Ricerca Qualitativa e i risultati, affiancati ai dati Quantitativi, creeranno un’istantanea di quanto abbiamo vissuto che terrà conto delle persone dietro i numeri e che potrà evidenziare percorsi per rivedere organizzazioni, procedure, protocolli e modalità di formazione degli operatori sanitari.
Un primo report, pubblicato di recente (scaricabile qui), analizza le narrazioni dei medici, degli infermieri e del personale sanitario impegnato nell’emergenza. L’analisi si focalizza sulle storie scritte da operatori sanitari e pubblicate sui siti resistere.medicinanarrativa.it e vissuto.intensiva.it. Sono state analizzate in totale 112 storie (13% su resistere.medicinanarrativa.it, 87% su vissuto.intensiva.it).
Le storie raccontano il vissuto, le emozioni e le riflessioni degli autori e sembrano scritte principalmente per elaborare la propria esperienza e favorire un processo catartico. Si racconta in prevalenza la fase acuta dei mesi di marzo e aprile e sono presenti solo marginalmente riferimenti critici alla gestione e all’organizzazione dell’emergenza. Sono evidenti gli sforzi degli operatori anche al di là delle difficoltà oggettive; la condivisione di confidenze è stata maggiore in termini numerici delle espressioni di malcontento.
La quantità di proposte operative è stata invece numericamente scarsa, tanto da far pensare che si convivesse con un diffuso senso di impotenza. Dai contributi è stato comunque possibile trarre alcune proposte costruttive in termini operativi/formativi su come ci si potrebbe preparare per situazioni improvvise ed estreme come la crisi vissuta.
Gli operatori che hanno risposto sono stati soprattutto medici (48.9%) e infermieri (44.0%), quasi ugualmente suddivisi fra i sessi (donne 53,1% e uomini 46.9%). Le storie provengono prevalentemente dalle aree italiane più colpite dalla pandemia del Nord (48.9%) e del Centro (43.3%) Italia. Le tre regioni più rappresentate sono state Lombardia (27.1%), Emilia-Romagna (22.2%) e Toscana (9.0%).

Parole e metafore

Al centro dei racconti ci sono i pazienti che arrivano in terapia intensiva e che spesso trascorrono le loro ultime ore di vita assistiti da medici e infermieri protetti da tute e mascherine.
Con le protezioni spesso la voce non si può usare perché non arriva bene, filtrata da mascherine e visiere. Allora gli occhi diventano un mezzo per comunicare sia con i colleghi, sia con i pazienti. Emergono anche lemmi relativi all’organizzazione concreta nelle corsie: i turni faticosi, la notte che non passa mai, le difficoltà nel lavorare in un periodo così particolare, la fatica che si accumula, la paura che rischia di prevalere. Casa è tra le parole più ricorrenti.

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Nei racconti emerge con forza l’uso della terminologia “bellica”. Parole come battaglia, trincea, nemico ricorrono spesso. Gli operatori si identificano nella metafora della guerra, come combattenti in prima linea nella lotta al nemico invisibile, al mostro sconosciuto che sta sconvolgendo le vite di pazienti e curanti. E il non sapere in che modo sconfiggere questa “bestia” a volte fa prevalere sentimenti di paura e di preoccupazione. Altra immagine ricorrente è quella dello tsunami che ha travolto le vite di tutti
Gli operatori sono gli unici che accompagnano i pazienti nel momento più brutto, quello della morte. Non ci sono i propri cari, non c’è un saluto.

“Ed eccoci qui, i familiari non possono né vedere né toccare il proprio caro per l’ultima volta. Non potranno mai più vederlo, nemmeno al funerale. Una volta deceduti, le salme vengono portate via ancora con i dispositivi inseriti: il tubo, il cvc, l’accesso arterioso, il catetere vescicale, la sonda rettale NON VENGONO TOLTI. Vengono seppelliti così, con la terapia intensiva addosso, e vengono avvolti in un lenzuolo intriso di alcool e messi nella bara. Non c’è dignità in questa morte”

Spesso tuttavia è la speranza a chiudere le storie, con la voglia che tutto passi e che questo momento terribile diventi solo un ricordo.

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Curare chi cura

Questa prima esplorazione delle storie fa emergere come gli operatori sanitari si siano trovati a intervenire in un territorio identitario, emozionale e relazionale privo di regole e rituali. Senza strumenti per gestire l’impatto emotivo della malattia grave e del fine vita.
Gli operatori sanitari sono riusciti il più delle volte con successo a proteggersi dalla contaminazione del virus, ma non dalla tristezza soverchiante di una morte senza il rito di passaggio ai familiari.
Per evitare che il vuoto resti non elaborato, è importante favorire processi collettivi di costruzione di senso. Il progetto R-Esistere e tutte le iniziative che hanno favorito la condivisione della propria esperienza rappresentano un’occasione importante, che andrebbe però portata anche a livello delle strutture ospedaliere più esposte.
La lettura di queste narrazioni offre numerosi spunti di riflessione ed indicazioni preziose per i decision maker del mondo della salute, per prendere consapevolezza dell’accaduto ma anche per raccogliere proposte utili a ripensare nuove prospettive e percorsi di cura.
È auspicabile sensibilizzare e formare i professionisti sui vantaggi della narrazione, rendere l’accesso alla narrazione non circoscritto ad un progetto ma sempre disponibile, fare in modo che le narrazioni rappresentino uno strumento di miglioramento continuo e di dialogo con il top management dell’azienda sanitaria, con i decision maker nazionali e regionali del mondo della salute.
Il professionista che oggi si sente esaurito sul piano emozionale e fisico, del tutto “prosciugato” di energie vitali, incapace di volgere il proprio sguardo al futuro verso nuove progettualità, segnala anche una carenza che è strutturale, che va oltre la drammaticità del momento. È del tutto evidente, e queste narrazioni lo dimostrano ampiamente, quanto siano necessari molteplici e onerosi investimenti su diverse variabili, tra cui quelle strutturali dell’organizzazione (turni e orari, ambiente lavorativo, implementazione di servizi finalizzati a migliorare ed equilibrare il rapporto fra vita lavorativa ed extra-lavorativa, …).
Occorre comprendere quanto è faticoso il lavoro di cura, cosa significa praticare queste professioni, come sostenere le persone in esse impegnate, come valorizzarle. Vanno approntate risposte organizzative, impostazioni di sistema e messe in atto azioni concrete di cura in favore dei professionisti della cura.
 

Fonte: Polvani S, Cerati M, Cenci C, Reale L, Alastra V, Palla I, Testa M, Pelagalli M, Trentanove F, Taruscio D, Gentile AE, Drigo E, Mezzetti A, Rossini I, Mistraletti G. R-Esistere: le storie dietro ai numeri. SiMeN. 26 novembre 2020