Le mani dell'amore

Per un chirurgo le mani sono tutto. Sente la malattia, prova a sfidarla. Le abbassa solo in segno di resa, in ossequio e rispetto alla sua scienza e alla sua coscienza. Per un amore, le mani sono una catena che nessuno vorrebbe mai spezzare.

Io non so quante facce ha l’amore, ma io faccio il chirurgo

Ieri ho avuto un attimo di esitazione: «Quanti anni ha suo… marito?».
Lui è un ictato, si esprime con suoni che si ripetono uguali e ritmati. Dietro gli occhiali ha gli occhi che mi guardano con paura. È anziano, più anziano di lei, così mi sembra.
Lei mi risponde mentre gli abbottona i pantaloni, gli sistema il cappotto, oggi fa freddo. «Ha 85 anni, ha avuto due ictus, l’ultima volta l’hanno portato via dentro un lenzuolo bianco, era morto. E io ringrazio Dio, è vivo». Lui si lascia vestire, continuando a soffiare con gioia le parole che non capisco. Era come vestire Daphne, mia figlia, fino ad un anno fa - oggi ne ha 4 e un po’ partecipa.
Lui  la ringrazia, facendo il gesto di un bacio. «Dottore, io voglio che stia bene, se si deve operare, si opera». Lo guarda, gli prende la mano, la stringe e gli dice: «Hai capito? Bisogna operarsi, sennò muori». Io provo a rassicurarla. «No, non è un’operazione peric…», ma lei mi fa cenno di no, mi sorride, come a farmi capire “stia al gioco” e io capisco, sto al gioco. Mi sussurra: «Se non dico così, non si farà mai operare e io voglio che stia bene».
Io non so dire di più, rigiro la penna tra le dita. Quelle mani strette sono una scena d’amore che posso solo ammirare in silenzio, ma la lezione non è ancora finita. «E per completare l’opera, abbiamo anche un figlio autistico, e io ringrazio ancora Dio. Sa dottore, dicono che io sia pazza, ma io provo solo a sorridere, c’è chi sta peggio».

Quante facce ha un amore?

Da tre giorni chiama ogni mattina, da quando mi ha detto «Dottore, io non voglio che soffra più, questa non è più la sua vita, non la operi, ne ha passate troppe». Mi chiede: «Come sta mia madre? Ha dormito? Non sente dolore, vero? Io posso venire alle 12». È venuto tutti i giorni, ha vegliato la sua agonia. Lei dormiva e lui gli restava accanto, sfiorandole la mano.
Questa mattina sono stato io a chiamarlo, ho solo detto Pronto. Lui lo era già: «Vengo subito dottore, grazie di tutto».
Io faccio il medico, nella malattia io vedo una mano tenuta intrecciata all’uomo di tutta una vita e non la vuole lasciare andare ancora via, perché è ancora tutta la sua vita.
Io faccio il chirurgo e nella malattia vedo una mano, quella di un figlio che adesso la vuole lasciare andare via, perché la sua mamma non ha più la sua vita.
Io non so quante facce ha un amore, io faccio il medico. Io però ho un onore e un onere, io vedo le mani dell’amore.