Tutti vorremmo essere Carlotta

Il nome della neo-Dottoressa Carlotta Rossignoli rimbalza da settimane sui vari contenitori di informazione e social network. Noi partiamo dalla sua vicenda per condividere alcuni spunti di riflessione sul corso di laurea in Medicina e Chirurgia.

Una laurea con lode e tante polemiche

Da diverse settimane si parla della vicenda di Carlotta Rossignoli, la ragazza che, a soli 23 anni, si è laureata in Medicina e Chirurgia con il massimo dei voti presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. La laurea ottenuta dalla Dr.ssa Rossignoli sei mesi prima del previsto ha fatto scalpore. In particolare, ha fatto scalpore la narrazione mediatica con cui è stata raccontata la storia di Carlotta. Narrazione che ha dato grande enfasi a due concetti: il tempo, che va sempre ottimizzato, e la performance, che deve essere sempre massimizzata1.
Non voglio parlare della neo-dottoressa Rossignoli o fare analisi di qualche tipo sulla storia che la riguarda strettamente. Si è laureata con il massimo dei voti, si merita solo i complimenti e gli auguri per la sua carriera.
 

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La Dottoressa Rossignoli il giorno della sua laurea (credit: Instagram)

Non posso, devo studiare

Di cosa parlerò, quindi? Vorrei partire dalla storia della Dr.ssa Rossignoli per parlare di alcune dinamiche che oggi caratterizzano il corso di laurea in Medicina e Chirurgia in Italia - della nostra Scuola di Medicina, come la chiamano gli anglosassoni.
Per chi studia Medicina, o per chi è medico e Medicina l’ha studiata, quello che quasi certamente più ha colpito della vicenda Rossignoli non è stato il fatto che si sia laureata in anticipo, ma che, durante i suoi anni di università, sembra sia riuscita a conservare tanti interessi e passioni. Chi conosce il corso di laurea in Medicina e Chirurgia conosce bene il carico di lavoro che lo caratterizza, l’ambiente competitivo e individualista, le rinunce che col proseguire degli anni si è costretti a fare perché la medicina fagocita, ogni giorno di più, interessi e passioni.
Gli articoli che hanno raccontato la storia di Carlotta Rossignoli hanno dipinto una ragazza che, organizzandosi e non perdendo tempo, è riuscita a laurearsi col massimo dei voti, prima degli altri, senza rinunciare allo sport, al pianoforte, all’attività di modella e presentatrice televisiva, ai viaggi. Io non so come sia stato vissuto il percorso di studi da parte di Carlotta e il contesto di vita in cui si è sviluppato, ne ho solo la visione parziale data dalla narrazione della stampa e dei social (anche dei suoi stessi social). Assumendo che tutto rappresenti la realtà vera, senza filtri, non nascondo il mio stupore.
So di studenti di Medicina che rinunciano allo sport agonistico per poter mantenere i ritmi richiesti dallo studio. So di chi, dovendo lavorare anche solo part-time per pagarsi gli studi, rimane inevitabilmente indietro con gli esami. So di migliaia di studenti che riescono a ritagliarsi solo pochi giorni di vacanza all’anno, incastrando tutto in base alle date degli esami.
Sia chiaro: non sono qui a fare illazioni sul percorso di studi di Carlotta Rossignoli. Sono qui semplicemente a chiedermi perché mi stupisca tanto se uno studente di Medicina, oltre a studiare, coltivi qualche passione o magari riesca a trovare il modo di svolgere un lavoro. Mi chiedo perché la cosa mi stupisca tanto, perché stupisca molti altri fra medici e studenti di Medicina.

«La vostra gioventù finisce oggi»

Molti medici che hanno studiato in un importante ateneo italiano sono stati accolti con queste parole il loro primo giorno di lezione: «La vostra gioventù finisce oggi». Il corollario di questa frase perentoria era più o meno questo: «Da oggi qualunque altro interesse andrà in secondo piano, smetterete di uscire la sera, di avere tempo per gli amici e la fidanzata. Non potrete impegnarvi in niente che vi porti via tempo. Da oggi sarete chini sui libri, e quando non sarete chini sui libri, sarete a lezione, e quando non sarete a lezione, sarete in ospedale. Questo è quello che vi aspetta per i prossimi sei anni».
L’idea che la scuola di Medicina debba essere totalizzante ed alienante è comune, tanto diffusa che gli studenti stessi esorcizzano la questione con battute e meme da condividere sul web. La domanda che mi pongo è se questa modalità di approccio allo studio della Medicina porti poi davvero ad avere medici migliori, più preparati, più capaci, o se sia una modalità autoreferenziale fine a se stessa.
Non voglio fare l’elogio della mediocrità. Sono convinto che una buona preparazione universitaria sia fondamentale per diventare buoni medici. E sono convinto che questa debba costare fatica ed impegno. Mi domando tuttavia se stress e avvilimento c’entrino qualcosa con la buona preparazione. Mi chiedo se questa modalità, che inchioda migliaia di studenti di Medicina alle scrivanie, riservando solo le briciole alla clinica e alla pratica, sia effettivamente la migliore dal punto di vista metodologico. Mi chiedo se costruire un ambiente altamente competitivo ed individualista sia quello che serve davvero a sviluppare le migliori capacità dei medici di domani.
 

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Il wrapped degli studenti di medicina (credit: Studente di Medicina di Merda)
 

L’obiettivo primario di quasi tutti gli studenti di Medicina è oggi quello di mantenere alta la media, perché questo richiede il sistema nel quale sono inseriti. Ci sono reparti ai quali non si può accedere per fare tirocinio se la media è inferiore al 28, ci sono tesi di laurea che non si possono chiedere se la media non è almeno del 29, ci sono scuole di specialità dove uno scarto di 0.25 fa differenza.
Cosa si deve fare per tenere alta la media? Naturalmente, superare gli esami con voti alti. E come si ottiene questo? Ingoiando valanghe di nozioni. Gli studenti di Medicina sono impegnati per sei anni in uno sforzo mnemonico costante, per ricordare il decorso di ogni arteria, per ricordare la formula chimica del colesterolo, per ricordare la cascata della coagulazione, le varie malattie di competenza reumatologica (che al quarto anno sembrano differire solo nel nome), o il Robbins - basta la parola per far affiorare gli incubi peggiori.
Fin dal primo anno di università si mandano a memoria una montagna di nozioni che sembrano più funzionali al superamento dell’esame che alla costruzione del bagaglio culturale di base di un medico. È una corsa continua allo studio della classificazione desueta, all’ora in più trascorsa in reparto, al mettersi in luce rispetto agli altri.  
Nel mondo della medicina ultra-specialistica e settoriale, forse sarebbe più utile una scuola che,  preliminarmente, insegni a tutti, il meglio possibile, a mantenere sempre la visione d’insieme, a non perdere mai di vista il paziente nella sua complessità, fisica e psicologica, una scuola che sviluppi le capacità diagnostiche e cliniche. Una scuola che insegni come si organizza e si gestisce un team, perché il medico che cura le malattie armato solo della sua borsa di cuoio è un retaggio del passato. Il lavoro d’equipe è alla base della medicina moderna, ed anche questo forse andrebbe insegnato.
Mi chiedo se un ambiente meno competitivo, meno centrato sui voti del libretto, se una scuola meno totalizzante e più congeniale allo sviluppo delle potenzialità individuali e dell’attitudine al lavoro di squadra, possa rendere la vita degli studenti di Medicina meno pressante ed alienante. Non meno faticosa, perché studiare Medicina comporta fatica, ma più motivante e utile alla professione che si andrà a svolgere.
La gioventù degli studenti di Medicina non dovrebbe terminare il primo giorno di lezione secondo me, ma essere accompagnata dall’università verso una maturità più ricca di consapevolezza e competenze.

La sindrome di Ippocrate

Nella situazione attuale, in molti casi si studia in funzione del voto d’esame, non in funzione dell’apprendimento. Nella maggior parte dei casi si va in reparto per acquisire crediti formativi, non per imparare la professione. Si segue un seminario, un corso, un’attività, non per accrescere il proprio bagaglio, ma per accumulare punti e avere quello 0,5 che può far somigliare di più la vita all’ideale che è nella propria testa o che si crede sia nella testa degli altri.
Nella situazione attuale è facile immaginare quale impatto possano avere le naturali battute d’arresto che possono capitare in una carriera accademica lunga sei anni. Un esame non superato, un voto non ritenuto in linea con la tabella di marcia che ci si è imposti o alla reputazione che si vuole presentare agli altri, un’arteria che non si riesce a bucare per l’emogas davanti a tutor impazienti e colleghi saccenti, possono mandare in crisi i giovani studenti di Medicina.
Negli ultimi anni sono state condotte diverse analisi sullo stato di salute mentale dei medici, che hanno evidenziato una maggiore probabilità di soffrire di disturbi d’ansia e depressione, nonchè una maggiore propensione al suicidio rispetto ad altre categorie professionali2,3,4.
La situazione degli studenti di Medicina non sembra essere diversa, anche se i dati a disposizione non sono molti in letteratura5,6,7,8. In uno studio recente9 condotto da un gruppo di ricercatori italiani, si parla di Sindrome di Ippocrate. Nell’analisi, non solo si mette in evidenza che i medici hanno tassi di suicidio maggiori rispetto alla popolazione generale, ma anche che gli studenti di Medicina, rispetto alla popolazione generale e agli altri studenti universitari, rappresentano la categoria più a rischio di suicidio.
I fatti di cronaca, anche recenti10, non sembrano quindi essere casi isolati, ma sintomo di un problema. Problema che però non sembra interessare né gli atenei, né la comunicazione mainstream.
 

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Dati provenienti dalla ricerca di Tarchi et al. (9)

Un diverso approccio allo studio della Medicina

Le riflessioni su una scuola di Medicina che a volte sembra risultare tossica per chi la frequenta sono qui solo abbozzate, ma credo che l’argomento meriti qualche serio approfondimento. Non è un problema solo italiano, quindi vanno condotte ricerche ampie e condivise per comprendere pienamente le cause del fenomeno.
Io non so se gli anni trascorsi da Carlotta Rossignoli a Medicina siano stati effettivamente così sereni e pieni di altro, come appare, ma non è questo il punto. Il punto è che secondo me bisognerebbe iniziare a pensare che la vita degli studenti di Medicina, tutti, dovrebbe essere serena e piena di altro.
Le Scuole di Medicina dovrebbero prendersi cura seriamente del benessere e della salute mentale dei propri studenti, iniziando a raccogliere dati sulla situazione attuale e a divulgarli.
Credo che le Università debbano interrogarsi sull’impostazione di questo corso di laurea che sembra concedere poco spazio all’apprendimento ragionato e professionalizzante, alla costruzione di uno schema di pensiero multidisciplinare e propenso alla condivisione delle conoscenze e delle esperienze, ma piuttosto sembra prediligere un percorso a tappe forzate poco attento alle peculiarità individuali e alla formazione di relazioni tra chi, in futuro, potrebbe trovarsi a lavorare gomito a gomito. Io penso sia doveroso che la Scuola di Medicina si impegni fermamente ad accompagnare ogni studente, senza lasciare indietro nessuno. Questo, secondo me, sarebbe il record più importante da centrare.
 

Non funziona che ci insegnano che valiamo quanto i nostri meriti, non funziona che non parliamo di Salute Mentale, che di servizi efficaci e concreti che ci supportino in questo percorso a ostacoli in cui spesso i professori dimenticano di essere stati Studenti e si organizzano nel modo migliore per metterti in difficoltà non ce ne sono, non funziona che l'imprecisione è un tabù, che lo devi dire a bassa voce che sei fuori corso, che su di noi scommettono tutti, genitori, fratelli, parenti, amici, scommettono sul 'tanto tu sei bravo', e come glielo dici che a volte non sei bravo, a volte lo sei ma non basta, che è tutta una giostra che gira in modo strano, funziona che la sera se andiamo a bere una birra finiamo a parlare di Università, che ai calendari abbiamo tolto le feste, che speriamo sia sempre di 31 giorni il mese, che l'università diventa tutto, che nonni alla fine li chiamo domani, e a fare la spesa ci vado nel fine settimana e quel libro sulla scrivania fa niente, lo inizio la prossima volta.

Antonella Moschillo11


Riferimenti e note

1. Pasqualetto A. Carlotta Rossignoli, modella e medico a 23 anni: «Il segreto? Non perdo mai tempo». Corriere della Sera. 30/10/2022 Medscape “Death by 1000 Cuts” Medscape National Physician Burnout & Suicide Report 2021 https://www.medscape.com/slideshow/2021-lifestyle-burnout-6013456#1
2. Schernhammer ES, Colditz GA. Suicide rates among physicians: a quantitative and gender assessment (meta-analysis). Am J Psychiatry. 2004 Dec;161(12):2295-302. doi: 10.1176/appi.ajp.161.12.2295. PMID: 15569903.
3. Gold KJ, Sen A, Schwenk TL. Details on suicide among US physicians: data from the National Violent Death Reporting System. Gen Hosp Psychiatry. 2013 Jan-Feb;35(1):45-9. doi: 10.1016/j.genhosppsych.2012.08.005. Epub 2012 Nov 2. PMID: 23123101; PMCID: PMC3549025.
4. Dutheil F, Aubert C, Pereira B, Dambrun M, Moustafa F, Mermillod M, Baker JS, Trousselard M, Lesage FX, Navel V. Suicide among physicians and health-care workers: A systematic review and meta-analysis. PLoS One. 2019 Dec 12;14(12):e0226361. doi: 10.1371/journal.pone.0226361. PMID: 31830138; PMCID: PMC6907772.
5. Seo C, Di Carlo C, Dong SX, Fournier K, Haykal KA. Risk factors for suicidal ideation and suicide attempt among medical students: A meta-analysis. PLoS One. 2021 Dec 22;16(12):e0261785. doi: 10.1371/journal.pone.0261785. PMID: 34936691; PMCID: PMC8694469.
6. Tsegay L, Abraha M, Ayano G. The Global Prevalence of Suicidal Attempt among Medical Students: a Systematic Review and Meta-Analysis. Psychiatr Q. 2020 Dec;91(4):1089-1101. doi: 10.1007/s11126-020-09805-7. PMID: 32789601.
7. Blacker CJ, Lewis CP, Swintak CC, Bostwick JM, Rackley SJ. Medical Student Suicide Rates: A Systematic Review of the Historical and International Literature. Acad Med. 2019 Feb;94(2):274-280. doi: 10.1097/ACM.0000000000002430. PMID: 30157089.
8. Rotenstein LS, Ramos MA, Torre M, Segal JB, Peluso MJ, Guille C, Sen S, Mata DA. Prevalence of Depression, Depressive Symptoms, and Suicidal Ideation Among Medical Students: A Systematic Review and Meta-Analysis. JAMA. 2016 Dec 6;316(21):2214-2236. doi: 10.1001/jama.2016.17324. PMID: 27923088; PMCID: PMC5613659.
9. Tarchi L, Moretti M, Osculati AMM, Politi P, Damiani S. The Hippocratic Risk: Epidemiology of Suicide in a Sample of Medical Undergraduates. Psychiatr Q. 2021 Jun;92(2):715-720. doi: 10.1007/s11126-020-09844-0. Epub 2020 Sep 7. PMID: 32895751; PMCID: PMC8110500.
10. Duò. Pavia, studente 30enne di medicina si suicida/Temeva di perdere borsa di studio. ilsussidiario.net. 27/07/2022
11. Moschillo A. Profilo Facebook personale. 25/01/2020