Sì, sono una donna, sarò io ad operarla

Intervista alla Dottoressa Gaya Spolverato, chirurga oncologa, Presidente e co-fondatrice di “Women in Surgery Italia”, un’associazione nata per unire e rappresentare le chirurghe italiane.

Intervista alla Dottoressa Gaya Spolverato

Gaya Spolverato, chirurga oncologa, opera nell'ospedale di Padova e insegna chirurgia all’Università degli Studi di Padova. È Presidente e co-fondatrice di “Women in Surgery Italia”, un’associazione nata nel 2015 per “accompagnare e sostenere le donne chirurgo [...] nello sviluppo delle proprie potenzialità e della propria professione”.

L'intervista approfondisce diverse tematiche. Vi consigliamo di prendervi 5 minuti e di leggerla tutta, per intero. Per comodità, vi lasciamo qui un sommario dei temi trattati:

1- Ci racconta come è nata l’idea di fondare l’associazione “Women in Surgery Italia”?

L’associazione Women in Surgery Italia (WIS) nasce nel 2015 per volere mio e della Dottoressa Isabella Frigerio. La scintilla è scoccata dopo un intervento di duodenocefalopancreasectomia, quando la mia collega ed io abbiamo realizzato che in sala operatoria c’era un solo uomo, il paziente. Ci siamo accorte, in quel momento, che qualcosa stava cambiando, perché anni prima sarebbe stato impensabile che un intervento di tale portata potesse essere permesso ad una equipe totalmente femminile. Abbiamo quindi pensato di poter accelerare il processo di cambiamento in atto dando vita ad un’associazione che  rappresentasse le donne chirurghe italiane. Fin dall’inizio abbiamo puntato molto sull’unione e sulla rappresentanza. Abbiamo quindi dato vita ad una serie di azioni per avvicinare le chirurghe tra loro, chirurghe che negli ultimi anni sono diventate sempre più numerose. Numero che, in futuro, andrà crescendo ancora di più, se si considera l’andamento del rapporto fra uomini e donne nelle scuole di medicina. Oggi le studentesse di medicina rappresentano circa il 60% degli iscritti al corso di laurea e le specializzande sono oltre la metà del totale dei giovani medici in formazione specialistica. Crescono le chirurghe, non solo in chirurgia generale, ma anche in quelle branche specialistiche che sono sempre state tradizionalmente appannaggio degli uomini, come la neurochirurgia, la cardiochirurgia, l’ortopedia.
L’associazione nasce quindi per segnalare questo cambiamento, facilitarlo, promuovere l’adeguamento del sistema perché sia in grado, nel prossimo futuro, di includere le chirurghe al meglio. Il sistema chirurgico oggi non è preparato ad accogliere le donne, è sempre stato pensato da uomini per uomini, un sistema piramidale, che spesso si fonda molto sul maschilismo e sull’egocentrismo dei suoi protagonisti. WIS vuol provare a riscrivere questa professione per impedire che le aspiranti chirurghe desistano dalla loro idea di intraprendere questo cammino e che le chirurghe perdano la passione per il proprio lavoro.
Crediamo molto nel mentorship ed oggi siamo diventate un punto di riferimento per molte chirurghe. Al nostro indirizzo email, così come tramite i nostri canali social, arrivano quotidianamente decine e decine di richieste da parte di studentesse, di specializzande, di colleghe. Sono soprattutto le più giovani ad avere bisogno di figure di riferimento. Noi non vogliamo essere un riferimento prettamente accademico, perché le realtà in cui operano le chirurghe sono molto diverse. C’è chi lavora in ospedali universitari, chi in piccoli ospedali di provincia, chi in strutture di livello avanzato, chi con mezzi deficitari. L’associazione vuole essere il più possibile inclusiva. WIS vuole unire e rappresentare tutte le chirurghe.
Grazie alla passione delle sue iscritte, l’associazione sta crescendo. Abbiamo istituito borse di studio e attivato collaborazioni con associazioni internazionali che hanno le nostre finalità.
Recentemente siamo state accolte dal Presidente della Repubblica Mattarella e dal Vice Ministro della Salute. Con loro abbiamo evidenziato l’importanza di dare maggiore risalto alle donne che si occupano di sanità, risorse fondamentali non solo in momenti strategici e complessi come quelli che stiamo vivendo, ma, soprattutto in evoluzione, perchè se è vero che stanno aumentando le studentesse di medicina, è altrettanto vero che non stanno aumentando le primarie e le professoresse ordinarie. Noi non crediamo che sia solo una questione di tempo, pensiamo che sia una questione di opportunità. Per avere più opportunità, bisogna iniziare a cambiare gli schemi di pensiero.
 

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La Dr.ssa Spolverato partecipa a #nonsiamosignorine

2- Le chirurghe vivono questo problema più delle colleghe di altre specialità?

Storicamente la figura del chirurgo è sempre stata maschile. Lo stesso termine “chirurga” viene usato solo di recente. Allo stesso modo, storicamente, altre specialità hanno sempre visto una maggioranza femminile. Penso, ad esempio, alla ginecologia e alla pediatria. Questi gli estremi, nel mezzo la maggior parte delle specialità mediche dove la presenza di uomini e donne è stata storicamente la medesima. Credo che le discipline chirurgiche e tutte quelle che prevedono una parte di manualità, ad esempio la cardiologia interventistica, la radiologia interventistica, abbiano più da lavorare perchè maggiore è stata la presenza e l’impronta maschile.

3- Recentemente ha scritto “La rappresentanza delle donne in posizione di leadership nei diversi organi amministrativi e di governance in ambiente sanitario dovrebbe diventare priorità di ognuno di noi”. Chi intende con quest’ultimo NOI? Per chi dovrebbe essere più prioritario?

La questione è molto ampia, va oltre il mondo della medicina e della chirurgia. Credo che finchè la maggior parte di noi non si accorgerà del gender bias presente in molteplici situazioni, cambierà poco o nulla. È sufficiente entrare in un negozio di giocattoli per rendersi conto che, ancora oggi, esistono i giochi per i maschi e i giochi per le femmine. Macchinine, robot, dinosauri, per i maschi. Bambole, principesse, pentole e pentolini per le femmine. I condizionamenti crescono con noi, fin dall’asilo, forse anche prima. Se non si cambiano questi aspetti, se tutte le figure professionali coinvolte non iniziano ad essere consapevoli dei bias presenti, impliciti ed espliciti, nella loro professione, non potremo mai pensare ad una reale integrazione di genere. Il problema si manifesta in ogni ambito, raggiungendo il massimo della sua espressione quando si parla di leadership.
Deve essere una priorità per ognuno di noi, è una responsabilità di tutti, di tutte le donne, di tutti gli uomini. Non sono solo le donne a dover combattere per l’integrazione di genere. Bisogna puntare a lavorare insieme per far prevalere altre logiche, ad esempio la logica del merito. Dobbiamo superare lo schema mentale secondo cui il bambino fa il pompiere e la bambina la crocerossina. È necessario che cresca la consapevolezza di questo ostacolo intrinseco. Una maggiore consapevolezza renderà automatico riconoscere il ruolo di leadership alle donne che lo meritano.

4- Lei ha vissuto per diverso tempo negli Stati Uniti, da studentessa di medicina e da medico. Quali sono le analogie e le differenze da questo punto di vista?

Il problema ovviamente non è solo italiano, esiste anche in altre parti del mondo, come ci viene testimoniato da associazioni estere con cui siamo in contatto. Ci sono posti, come il Giappone, dove le chirurghe faticano molto a fare le chirurghe. Il problema è spesso espressione della condizione sociale della donna, quindi è molto marcato nei Paesi in cui è molto difficile, in primis, essere donna.
Negli Stati Uniti, dove ho trascorso alcuni periodi della mia vita, il problema c’è, ma sono già in atto molte soluzioni. Rispetto all’Italia hanno fatto sicuramente passi in avanti. Probabilmente l’aver dovuto fare i conti con la questione razziale ha reso la comunità più ricettiva nei confronti della questione della discriminazione femminile. Non hanno risolto il problema della discriminazione razziale così come non hanno risolto quello della discriminazione femminile, ma c’è molta attenzione, molta più consapevolezza. Le battaglie che stanno portando avanti sono molto più avviate delle nostre.
Le associazioni americane con finalità simili a quelle di WIS sono molto supportate, riescono ad accedere a molti fondi, sono molte le aziende che credono nella causa. In Italia questo non succede. L’attenzione delle case farmaceutiche, ad esempio, non è zero come qualche decennio fa, ma siamo lontani da un vero e proprio coinvolgimento finalizzato a realizzare un progetto concreto.
Negli Stati Uniti io ho vissuto una quotidianità molto diversa da quella italiana. Sono molto attenti al “politically correct”, in sala operatoria nessuno ti fa sentire discriminata, in sala operatoria non si creano situazioni di imbarazzo. Molto semplicemente perché tutto questo non è permesso dall’amministrazione ospedaliera, non è legale. L’ambiente delle sale operatorie italiane invece è estremamente goliardico. Che tu sia la primaria o l’ultima arrivata fra le specializzande, sarai comunque bersaglio di battute, ironiche o sarcastiche, più o meno accettabili. Per il semplice fatto che sei una donna. In Italia la battuta sessista è culturalmente accettata, se ti opponi, la maggior parte considera ridicolo il tuo comportamento.

5- Stiamo parlando di sole discriminazioni o anche di molestie?

A WIS arrivano segnalazioni di chirurghe cui non viene permesso di operare o di chirurghe che svolgono mansioni di livello inferiore rispetto alle loro competenze. Molte specializzande ci segnalano di arrivare alla fine del percorso formativo avendo operato molto meno rispetto ai colleghi uomini. Segnalazioni di molestie non ne arrivano. Il fatto che non arrivino a noi non significa che non avvengano.
Credo che ci sia molta paura nell’affrontare questi argomenti. Per questioni molto meno gravi, tante colleghe ci contattano solo telefonicamente, perchè non vogliono lasciar traccia scritta di quello di cui ci vogliono parlare. C’è molta paura di parlare. Non a caso molti enti, universitari ed ospedalieri, hanno messo a disposizione figure professionali di ascolto e difesa. Al momento non so quanto questi strumenti siano realmente usati.

6- Nello statuto si legge: “Women in Surgery Italia si propone inoltre di incoraggiare e sostenere la leadership delle donne chirurgo, e di offrire loro un modello lavorativo che si possa conciliare con la vita personale e famigliare”. Lei ha in mente come dovrebbe essere questo modello lavorativo?

La prima cosa a cui penso è quella di stabilire delle turnazioni fisse nell’ambito del planning settimanale. Una chirurga deve poter sapere quali giorni sono occupati dall’attività in sala operatoria e per quante ore. Le urgenze e le attività non programmabili fanno storia a sé, ma costituiscono solo una parte della nostra quotidianità lavorativa. Sapere con anticipo quali sono i giorni della settimana in cui si è impegnate in sala operatoria permetterebbe di organizzare tutto il resto della propria vita. Un metodo razionale di distribuzione dei turni in sala operatoria capace di consentire l’organizzazione della vita lavorativa sarebbe un enorme passo in avanti, non solo per le donne, ma anche per gli uomini. Se io oggi non so cosa farò mercoledì prossimo o l’ultimo venerdì del mese, come posso gestire famiglia, amicizie, un banale appuntamento dal dentista? La maggior parte di chi si occupa di turnazioni storcerà il naso pensando che sia una cosa impossibile da fare. È possibile, se iniziamo a considerarla una priorità.
La seconda cosa da rivoluzionare, per avere un modello lavorativo capace di conciliare professione e vita privata, è l’idea che lavora bene solo chi lavora 12 ore al giorno. Io provengo da una famiglia che pensa in questo modo, io stessa sono naturalmente portata a pensare in questo modo. Ma questo modo di pensare è sbagliato, per questo stiamo lavorando per introdurre un sistema diverso.
Le attività cliniche hanno orari abbastanza compatibili con una buona gestione della vita privata. Ma chi svolge la mia professione lavora spesso su più fronti, che oggi si impilano in giornate di lavoro infinite. La situazione potrebbe migliorare se introducessimo l’assegnazione di compiti da svolgere, l’idea che ognuno debba portare a termine dei progetti, organizzandosi in modo autonomo. Non è più bravo chi rimane in ospedale tutto il giorno, ma chi ottiene risultati nelle attività che vengono assegnate. I medici oggi sono portati a pensare che il numero di ore trascorse in ospedale dia la misura delle competenze, della passione, del valore di un collega. Pensando così, risulta chiaro perchè le donne non potranno occupare posizioni di leadership. In una società che culturalmente affida solo alla donna la gestione dei figli, aspetto che per fortuna sta lentamente mutando, se l’unità di misura che usiamo è il tempo trascorso in ospedale è ovvio che la chirurga con due bambini piccoli si trovi svantaggiata rispetto al chirurgo con due bambini piccoli. Le cose cambieranno se si valuteranno le persone sui risultati dei progetti realizzati, non in base alle ore extra accumulate (pur assumendo che siano ore lavorate).
Un altro elemento cardine del nuovo modello lavorativo che abbiamo in mente riguarda l’uso delle nuove tecnologie. Nella mia attività di docente universitaria, ad esempio, troverei molto utile la possibilità, quando necessario, di fare lezione a distanza o di inviare un video registrato della lezione. Dando modo agli studenti di risolvere dubbi o di chiedere approfondimenti via mail, questa modalità non toglierebbe nulla alla qualità di insegnamento. Le nuove tecnologie, in questo anno siamo stati costretti ad impararlo, possono aiutarci a gestire meglio il tempo. Quando ci sono situazioni che rendono difficoltosa la gestione del tempo, la partecipazione da remoto a riunioni o convegni rappresenta una grande opportunità.

7- I cambiamenti che WIS auspica richiedono necessariamente un confronto col mondo politico. Come state agendo in questa direzione?

Abbiamo chiaro che alcuni cambiamenti debbano passare direttamente da una discussione politica Sono richiesti sforzi da più parti. La problematica delle pari opportunità tra uomini e donne è una questione generalizzata, WIS è solo una delle tante voci che stanno sollevando il problema e che stanno proponendo soluzioni. WIS fa parte di Inclusione donna, un movimento nazionale per creare un network sinergico e inclusivo di tutte le associazioni e progetti che aderiscono a due fronti comuni dedicati alle donne: occupazione e rappresentanza. Questa alleanza raccoglie circa 60 associazioni che rappresentano donne impegnate nelle attività più differenti. Inclusione Donna si sta battendo perché le istanze condivise possano essere discusse con i decisori politici, a diversi livelli. Chiaramente la precaria situazione politica italiana non aiuta nella discussione, perchè spesso gli interlocutori cambiano e quando sembra di aver fatto un passo in avanti, poi bisogna ripartire daccapo.
WIS ha molto a cuore la modifica della legge che regola la maternità, una legge molto cautelativa nei confronti della donna. Secondo noi, per alcuni aspetti fin troppo cautelativa, al punto da renderla un ostacolo professionale. Se è vero che la sala operatoria non costituisce una controindicazione assoluta per le donne in gravidanza, perché la donna non può scegliere se andare in sala operatoria oppure no? Perché non è possibile valutare caso per caso, senza che questo costituisca un pericolo per la donna e per il feto? Oggi la donna non può scegliere, le è impedito. In altre parti del mondo le chirurghe operano fino al 7°/8° mese di gravidanza. Manca la possibilità di scegliere liberamente, una cosa per noi inaccettabile.
Una rivoluzione socio-culturale aiuterebbe tutte le neo-mamme, non solo le chirurghe. Ad esempio, gli asili nido pubblici ad ampia apertura consentirebbero alle donne, così come agli uomini, di lavorare serenamente. Oggi le chirurghe sono costrette ad affidare i figli ai nonni, a spendere il proprio stipendio in baby-sitter, tate, asili privati. Altre ridimensionano la loro attività e le loro ambizioni chiedendo orari part-time. Altre ancora addirittura rinunciano.
È folle che i medici in ospedale debbano iniziare a lavorare alle 8 e che le scuole aprano alle 8.30. C’è molto da lavorare per creare un ambiente di lavoro più adeguato per le donne.

8- Stando ai numeri, il futuro della medicina è sicuramente “donna”. Come si immagina la medicina del futuro? L’impronta femminile cosa può apportare?

A mio parere la medicina potrà migliorare dal punto di vista organizzativo e qualitativo. Chi ha vissuto sulla propria pelle la discriminazione non permetterà che venga reiterata, quindi cercherà di mettere in atto dei sistemi che facciano emergere chi davvero se lo merita. Chi oggi deve inventarsi ogni giorno il modo per conciliare vita professionale e vita privata all’interno di schemi di ostativi e disincentivanti sarà probabilmente capace di organizzare meglio l’ambiente di lavoro. Una medicina quindi di maggiore qualità, perché fondata sulla meritocrazia e su una migliore organizzazione. Credo che le donne siano pronte già oggi a dare questo contributo. Già oggi si dovrebbe investire sull’altro 50% del capitale umano. Un risultato davvero diverso si potrà avere solo quando saranno inserite nell’equazione anche le donne.

 

#nonsiamosignorine è la campagna di sensibilizzazione a sostegno delle competenze, del ruolo, della professionalità delle Dottoresse in Medicina. Vogliamo mostrare che ci siete, tanto quanto gli uomini, negli ambulatori, nelle sale operatorie, nei laboratori di ricerca, sulle ambulanze. Vogliamo mostrare che ci siete e che siete capaci e competenti, tanto quanto gli uomini. Desideriamo raccogliere e diffondere le vostre storie, con l’intento di raccontare spicchi di quotidianità, progetti, ambizioni. Non servono storie eclatanti, purtroppo per molti sarà eclatante il solo fatto di scoprire che le donne fanno il medico. Partecipa anche tu!

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